Un esperimento che ha cambiato il mondo e le dottrine sulla fisica, la nozione di massa, di spazio e di energia oscura. Dopo questo giorno, dunque, molte altre teorie si sono rivelate “superate” e anche gli scienziati più conservatori, più fedeli a un illuminismo e a una verità oggettiva e razionalista hanno dovuto
rivedere alcuni assunti ritenuti incontrovertibili. Anche le convinzioni più certe, a volte, sono solo un’illusione, sostenute da una comune, momentanea, credenza. I più coraggiosi, nel tempo, sono quelli che osano e che vedono oltre i cliché, oltre le convenzioni di cui la società si dota con l’intento, forse benevolo, di dare un ordine e una forma standard alle cose e alla gente.
In questo saggio, si azzarderanno teorie d’avanguardia; come si è visto, ad esempio nell’arte, senza il Futurismo la velocità non sarebbe stata rappresentata così bene da un Giacomo Balla o un Fedele Azari. I temi che verranno trattati vogliono essere uno spunto, uno stimolo all’empatia sociale, una provocazione ai troppi modelli e indici che sono oggi salde componenti dello sguardo verso il mondo.
Si inviterà il lettore a stravolgere gli assunti avendo preso coscienza che, protestare oggi per un ritorno ai diritti di ieri non è più possibile; la velocità delle cose impatta anche sulla società odierna, nel bene e nel male. È un invito a un ripensamento collettivo, a un’adesione e una visione più vera di quello che siamo ma soprattutto di ciò che ci rende veramente felici; c’è necessità di riformulare il nostro modo di vivere senza vergognarsi di avere bisogno di cose semplici, empatiche, che ci emozionano nel profondo. La società dovrebbe riconsiderare con uno sguardo differente tutti questi anni fatti di benessere solo materiale, dove le regole del consumismo hanno reso l’individuo imprigionato e muto, schiavo di un’apparenza ipocrita che in fondo non ha mai rispecchiato la sua essenza. Il troppo fare frenetico ha staccato il corpo dall’anima e questo, oggi, si riflette con l’urgente bisogno di ritrovare una conciliazione tra l’essere psichico e quello fisico. Si è persa la memoria di quell’alfabeto antico fatto di “cose facili” che forse i nonni e i saggi di un tempo hanno sempre cercato di custodire nei detti e nelle tradizioni più recondite. L’identità collettiva gioca un ruolo decisivo, ma per poterla leggere prima di tutto a livello individuale bisogna avere coscienza di sé, rispetto verso il prossimo e un rispetto dei saperi, del saper-fare, dell’arte di vivere, compresa quella diversa dalla nostra cultura.
Nel presente del 2013, siamo abituati a pensare singolarmente, siamo legati a un “sé” molto radicato, un sé che ha subìto un veloce rafforzamento; ma guardando al passato, la nostra identità individuale fino a qualche centinaio di anni fa non era così importante. Infatti, era il mio gruppo di appartenenza che mi diceva cosa e come dovevo fare. Oggi avviene esattamente il contrario: vengo io prima degli altri e la mia felicità è la cosa più rilevante. Ma la felicità del singolo può prescindere dagli altri? E come si misura oggi? Con gli oggetti, con il potere, con la popolarità... come?
Fatte queste semplici ma essenziali premesse, quello che s’intende fornire in questo saggio sono alcuni strumenti volti a indicare e motivare perché si debba iniziare a cambiare la comune e singola percezione di felicità, o meglio, come la si possa modificare all’interno del nostro quotidiano e soprattutto fruendo del territorio che ci circonda (e con territorio si intende sia quello astratto che quello concreto). Perché si debba iniziare partendo dal presupposto che la proprietà e la quantità (oggetti e denaro) non sono più oggi gli elementi di solidità che fino a qualche anno fa fornivano la sensazione di permanenza nel tempo, un periodo sicuro e ben distinto.
Nel mio precedente libro sono stati analizzati il concetto di tempo, la nostra percezione delle diverse esperienze chiamate “vacanza”, “attesa”, “abitudine” e la loro capacità di dilatare o meno le emozioni. Di conseguenza il passaggio da un tempo orizzontale, del solo vedere, a uno verticale dove tutti i sensi sono chiamati in campo. I driver del futuro saranno i nuovi codici all’interno del territorio, un capitale iniziale diverso, dove gli assunti non saranno più quelli di oggi. L’individuo con un sé molto sviluppato dovrà forzatamente capire quello che significa “bene comune” e dovrà canalizzare la propria identità in forme diverse.
Nelle città, il quotidiano è terribilmente impostato sulla razionalità e su un’organizzazione rigida che ha portato alla perdita totale di tutto ciò che possa assomigliare all’ozio. Ozio inteso come fattore positivo, alimentatore di creatività, quella sensazione di noia, di lentezza programmata e portatrice di “qualcosa di buono”. Chi saprà reinventarsi il quotidiano, trovando un buon equilibrio tra sviluppo del sapere, sviluppo della conoscenza, territorio e società, diventerà più competitivo. Oggi, il nostro cronoprogramma medio passa attraverso variabili non più soddisfacenti, un fare ripetitivo, un basso incremento di nuova conoscenza e quasi nessuna interazione con il territorio. La variabile che fortunatamente sta aumentando è quella sociale, relazionale, anche grazie al supporto della tecnologia.
Ci vuole fiducia e coraggio: la sfida più grande sarà rafforzare il proprio sé in condivisione con la società e il territorio. E occorre una ri-modulazione del proprio consumo del quotidiano, assieme a una ri-specializzazione del nostro know-how, cosicché l’uomo tecnologico sia pur sempre un homo faber capace di intuire e mettere in atto quell’idea creativa che da sempre alimenta il bisogno ma anche il sogno del singolo.
Estratto dal libro “Affari di Tempo – comunicazione culturale per una nuova ricetta di felicità", di Elena Croci, Lupetti Ed. (in uscita da luglio 2013)